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Il Laparocele

 

Il laparocele è una complicanza relativamente frequente della chirurgia addominale caratterizzata dalla fuoriuscita dei visceri contenuti nella cavità addominale attraverso una breccia della parete che si forma nella fase di guarigione di una ferita laparotomica. In altre parole il laparocele  è un’ernia della parete addominale che insorge in corrispondenza di una cicatrice chirurgica  ed è costituito da una soluzione di continuo dello strato muscolo-aponeurotico entro cui si espande progressivamente il peritoneo parietale con il suo contenuto (omento, anse tenuali, colon) fino a raggiungere il piano sottocutaneo. Il laparocele è una patologia a carattere progressivo e quando raggiunge dimensioni considerevoli altera il fisiologico equilibrio tra attività dei muscoli addominali, pressione addominale ed attività del diaframma determinando la cosiddetta malattia da laparocele caratterizzata da importanti alterazioni muscolari, respiratorie, cardiocircolatorie e viscerali. 

Clinicamente si presenta con una tumefazione, solitamente evidente in posizione eretta, della parete addominale di dimensioni variabili che può contenere al suo interno solamente omento o nei casi più importanti ampia parte di intestino tenue o crasso.

I fattori  che possono favorire l’insorgenza di un laparocele sono:

- l’età avanzata

- malattie sistemiche quali diabete mellito ed obesità, insufficienza epatica e renale

- stati di malnutrizione

- terapia radiante

- condizioni che predispongono ad un aumento della pressione intraddominale nell’immediato post-operatorio (insufficienza respiratoria, marcata distensione addominale, vomito ecc.). In fase di convalescenza può contribuire la stipsi cronica e la precoce ripresa dell’attività lavorativa e/o sportiva.

- Infezione delle ferite  chirurgiche addominali nell'immediato postoperatorio

I laparoceli hanno la tendenza a ingrandirsi, possono incarcerarsi e strozzarsi e possono determinare alterazioni del normale trofismo del tessuto cutaneo che li ricopre. Il laparocele solitamente non produce una  sintomatolgia significativa. I sintomi che devono allarmare il malato sono il dolore in corrispondenza della tumefazione, l'impossibilità alla riduzione del contenuto del laparocele in cavità addominale. Raramente il laparocele può determinare il vomito, e la impossibilità ad evacuare feci o eliminare l’aria ed in questi casi è opportuno rivolgersi quanto prima ad uno specialista per escludere condizioni di urgenza chirurgica.

Negli ultimi trent' anni la chirurgia dei laparoceli ha subito importanti modifiche grazie alla diffusione dell’impiego di materiali protesici che ne hanno significativamente ridotto il tasso di recidiva. Le protesi, impiegate con la funzione di rinforzo di una sutura diretta o come sostituto di un ampio difetto parietale, hanno consentito di ridurre l’incidenza di recidiva e attualmente trovano indicazione nella gran parte dei laparoceli. Esse possono essere posizionate in sede sottocutanea sovrafasciale, retromuscolare prefasciale, preperitoneale e intraperitoneale.

​La correzione del difetto di parete  può essere realizzata mediante due possibili differenti vie di accesso.

La riparazione laparotomica classica, "a cielo aperto", utilizza la stessa cicatrice del laparocele come via di accesso al difetto parietale e consente la riparazione dell'ernia mediante l'isolamento del sacco peritoneale, l'individuazione della porta del laparocele e la riduzione del sacco peritoneale e del suo contenuto nella cavità addominale. L’intervento si completa con il posizionamento di una protesi il cui scopo è quello di rinforzare la sede ove si è verificato il cedimento parietale. Tra le diverse tecniche larotomiche quella proposta da Rives  prevede l’impianto della protesi nella spazio retromuscolare al di sopra della fascia posteriore dei muscoli retti (prefasciale /sublay). La sede per il collocamento della protesi e le caratteristiche biostrutturali dei materiali a disposizione sono strettamente correlate in funzione della differente risposta infiammatoria e dell’incorporazione tissutale. Per l’intervento di Rives, per il quale alla protesi viene richiesta l’incorporazione con i tessuti parietali muscolo- aponeurotici, il materiale oggi più largamente utilizzato è il polipropilene. Ciò comporta la necessità, non infrequente, di dover creare una “barriera” tra la mesh ed il peritoneo o, addirittura, le strutture viscerali, condizio- ne prudente o indispensabile per evitare la formazione di processi aderenziali, fistole enteriche o penetranti. La reazione infiammatoria indotta dal polipropilene è in grado, infatti, di interessare la sierosa parietale, anche se integra, specie se rivestita da scarso tessuto celluloadiposo preperitoneale (peritoneo velamentoso). La ricerca si è pertanto rivolta alla realizzazione di una protesi che garantisse selettivamente l’incorporazione tissutale da un lato e la minima formazione di aderenze dall’altro. Il polipropilene garantisce il primo obiettivo, limitando l’incidenza delle recidive, il e-PTFE, il secondo, riducendo il rischio di complicanze legate a processi aderenziali.

Sulla base di queste prerogative, l’uso di una protesi “double faced” costituita da polipropilene (all’esterno) ed e- PTFE (all’interno) è stato tentato con successo nel trattamento dell’ernia inguinale e del laparocele. Più recentemente è stato commercializzato uno specifico prodotto (ComposixTM Mesh) con il razionale di raggiungere due obiettivi: a) elevata integrazione tissutale verso l’esterno (polipropilene), b) minima formazione di aderenze  verso l’interno (e-PTFE). Questa protesi potrebbe rappresentare il materiale più idoneo e più sicuro per l’esecuzione dell’intervento di Rives.

La riparazione laparoscopica, descritta per la prima volta negli anni novanta da LeBlanc, consiste nell’ancoraggio sulla faccia posteriore (intraperitoneale) della parete addominale anteriore di una lamina in politetrafluoroetilene espanso (PTFEe) (protesi dual mesh  a superfici differenziate) dall'interno dell'addome. Tali protesi presentano una doppia superficie e ciascuna superficie differisce sia per aspetto che per comportamento e composizione. La superficie  liscia va rivolta verso i visceri rispetto ai quali non contrae aderenze, viene gradualmente ricoperta da uno strato omogeneo di cellule mesoteliali mentre la superficie ruvida, posta a contatto con lo strato peritoneo-fasciale, stimola la penetrazione e proliferazione cellulare (fibroblasti ed istiociti) con progressiva formazione e deposizione di tessuto cicatriziale permettendo l’incorporazione parietale della protesi. 

Solitamente la protesi viene fissata alla superficie interna della parete addominale dopo adeguata lisi di aderenze viscero-omento-parietali e dopo la riduzione del contenuto erniario in addome. La preparazione del bordo del difetto deve estendersi per almeno 5 centimetri e solo dopo questa preparazione si può fissare la protesi con una doppia corona di punti metallici a forma di spirale (Pro-tack). Questa tecnica inizialmente è stata utilizzata per difetti di parete non grandi ma ora l’indicazione si è ampliata.

TEMPI PRINCIPALI della alloplastica laparoscopica:

  1. Induzione del pneumoperitoneo ed accesso alla cavità addominale

  2. Lisi delle aderenze, liberazione del bordo del difetto, misurazione dei diametri principali

  3. Ancoraggio della protesi con doppia corona di tacks

Indotto il pneumoperitoneo fino a raggiungere una pressione intraddominale pari a dodici milimetri di mercurio si accede alla cavità addominale e si esplora la cavità addominale con ottica da trenta gradi. Evidenziate le aderenze viscero-omento-parietali con parziale obliterazione del difetto erniario si procede sotto visione laparoscopica all’introduzione di altri due trocars operativi da dieci e da cinque  millimetri rispettivamente in fianco sinistro e fossa iliaca sinistra.

Si esegue la lisi delle aderenze con molta cautela ed estrema accuratezza in quanto si corre il rischio di provocare lesioni di continuo della parete intestinale che devono essere riconosciute e riparate. 

Durante la lisi delle adrenze vengono evidenziati ulteriori difetti della parete con impegno omentale misconosciuti all’esame clinico.Terminata la lisi delle aderenze e ridotto il contenuto erniario in addome si prepara il bordo del difetto per almeno 5 centimetri sezionando il legamento rotondo sia cranialmente che caudalmente al difetto e in caso di laparoceli epimesogastrici anche il legamento falciforme. In tal modo si ottiene una preparazione corretta della parete addominale ponendo particolare attenzione a rimuovere il tessuto adiposo preperitoneale al fine di poter garantire un corretto ancoraggio della protesi. Dopo aver ridotto la pressione intra-addominale a 6-7 millimetri di mercurio si procede alla misurazione del difetto per la scelta della protesi. Vengono introdotti quattro aghi di répere trans cutanei a circa 3 centimetri dal bordo del difetto nei quattro punti cardinali. Si ottengono, così, i diametri longitudinale e trasversale della protesi che vengono misurati all’esterno. 

Sulla protesi si traccia il diametro maggiore e si pongono quattro punti di repere agli apici dei diametri, quindi adeguatamente arrotolata viene introdotta attraverso il trocar da 12 millimetri in ipocondrio sinistro. All’interno della cavità addominale, mediante l’ausilio di pinze da presa, la protesi viene distesa, orientata e posizionata in modo corretto grazie alla traccia del diametro maggiore e dei punti di repere alle estremità. E' indicato l'uso di una protesi dual mesh plus GORE 18X24 centimetri. La protesi viene sospesa alla parete addominale mediante quattro punti trasfissi con Suture Passer che verranno rimossi dopo l’ancoraggio della protesi. Si àncorano i due punti cardinali lungo l’asse maggiore e si verifica che la protesi sia ben distesa e ci sia l’adeguato overlap prendendo come riferimento gli aghi di repere.Il fissaggio della protesi viene ottenuto mediante clips in titanio elicoidali, Pro-Tack. Durante il tempo di fissaggio della protesi la pressione intraaddominale viene sempre mantenuta a sette millimetri di mercurio. Si inizia con l’applicazione delle clips all’apice superiore della protesi e si prosegue, quindi, al fissaggio dell’apice inferiore verificando sempre un’adeguata distensione della protesi. Le clips vengono poi applicate lungo tutto il bordo della protesi ad una distanza di circa 1,5 centimetri l’una dall’altra. E’ importante esercitare una contropressione dall’esterno perpedicolare allo strumento.Si completa il fissaggio della protesi mediante una seconda fila di clips applicate a circa un centimetro dal bordo del difetto.

Attualmente le indicazioni alla riparazione laparoscopica del laparocele sono:

- laparocele con porta erniaria di almeno 4cm o 3 cm se recidivo e massimo 18 cm 

- laparocele con aspetto cosiddetto swiss cheese ovvero laparocele con multiplo difetto di parete

- soggetto sportivo

- paziente obeso

Le controindicazioni relativi invece sono rappresentate dalla radioterapia, dalla cirrosi...

Laparoceli con porte erniarie di diametro minore di 2-3 cm o con voluminose brecce erniare (i cosiddetti disastri parietali) non trovano indicazione alla plastica laparoscopica.

La scelta del tipo di tecnica riguarda l’esperienza del chirurgo (in una o in tutte e due le tecniche chirurgiche), il tipo e le dimensioni del laparocele e le condizioni generali del paziente.

 

 



 

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